L’album dell’integrazione cinese a Milano

Da Il corriere della sera

di Martina Vanni.

Il nuovo romanzo grafico della casa Beccogiallo, di Matteo Demonte e Ciaj Rocchi, arriva in un momento delicatissimo della storia dell’immigrazione in Europa. Ci ricorda quanto sia fragile, allo stesso tempo naturale e inarrestabile, l’integrazione fra diverse culture, anche se agli antipodi, come quella cinese pre-comunista e dell’Italia fra le due guerre. Attraverso la vita di suo nonno Wu Li Shan, l’autore ripercorre la storia dell’integrazione cinese a Milano e dello sviluppo della sua comunità. Una storia di cui si sa veramente poco perchè rimane sempre un po’ inaccessibile (qui la recensione di Marco Del Corona del Corriere della Sera)

Wu, arrivato negli anni trenta da una Cina sull’orlo della rivoluzione di Mao, in un paese piccolo e ancora fatto di bottegai che strizzava l’occhio al futuro, è riuscito ad elevare la sua condizione di straniero precario e veditore ambulante di cravatte a piccolo industriale, con dipendenti milanesi, marito di una bella ragazza italiana e padre di tre figli.

Il romanzo racconta molto bene – con l’uso di grafiche folcloristiche unite a testi in dialetto meneghino – dettagli della formazione e dell’integrazione della comunità cinese a Milano, come l’apertura del primo ristorante cinese a Milano (in via Filzi), matrimoni celebrati in chiesa, vacanze in riviera e colonie estive per bambini cinesi. Ma anche limitazioni e rinunce, si pensi solo al fatto che negli anni ’50, ’60 e ’70 la cittadinanza era determinata dalla nazionalità del padre, per cui molti neonati nacquero stranieri nel loro Paese.

Numerose donne italiane per aver sposato dei cinesi si videro revocato il diritto di voto e divennero cittadine di un Paese di cui non parlano la lingua, che non avevano mai visto e le cui relazioni diplomatiche erano estremamente compromesse dalla politica di Mao e dei suoi successori.

 La cosa più bella di questo romanzo, è la sottile poesia nascosta nel titolo, un omaggio all’opera Annuale delle primavere e degli autunniattribuita a Confucio, testo emblema della cultura cinese, in cui su racconta la storia della Cina scandita dall’alternarsi delle stagioni.

Un parallelo che si ritrova nel romanzo, dove la narrazione è scandita dagli avvenimenti politici italiani come il fascismo, la guerra, le lotte degli anni ’70 e il benessere degli anni ’80, vissuti in una Milano affascinante e più umana.

 L’ultima perla è la dedica finale in cui l’autore svela l’intento del romanzo: dimostrare a sua nonna – la persona più legata a Wu – che in una città che sembra aver cancellato il passato, le origini di Wu e la storia che l’accompagnano, la ricchezza e le difficoltà dell’integrazione cinese non sono state dimenticate. Con eleganza le regala questo romanzo grafico come fosse un bellissimo album di ricordi.

È il carattere personale, l’idea costante di avere a che fare con un affare di famiglia, che in realtà è affare di molti, a rendere questo romanzo unico e a farti venire voglia di sederti in un tavolino con il protagonista a farti raccontare la sua vita, nella speranza di rivivere un po’ quei momenti ricchi di significato storico.

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