P&A versione cinese!

Esce in Cina la graphic novel
sui cinesi di via Paolo Sarpi a Milano

di MARCO DEL CORONA per il Corriere della Sera

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«Primavere e autunni» di Ciaj Rocchi e Matteo Demonte racconta la storia dei primi cinesi approdati in Italia negli anni Trenta. Il protagonista è nonno dell’autore

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È un frammento di storia poco noto in Italia, ancora meno in Cina. Eppure riguarda entrambi i Paesi. L’immigrazione cinese nel nostro Paese negli anni Trenta, che ha fatto di quella di Milano una tra le più antiche Chinatown d’Europa, resta una vicenda per buona parte tutta da scrivere. O meglio: restava. Perché se i fumettisti e videomaker milanesi Ciaj Rocchi e Matteo Demonte hanno scelto di narrarla al pubblico italiano (la loro prima graphic novel Primavere e autunni è uscita per Becco Giallo nel 2015), il loro libro è ora apparso anche nella Repubblica Popolare, pubblicata dall’editore Dang Dang.

Attraverso le peripezie di Wu Lishan, arrivato a Milano dalla regione costiera dello Zhejiang nel 1931 e poi insediatosi nella zona di via Paolo Sarpi, i lettori cinesi possono accostarsi alla variante italiana dell’infinito epos della diaspora della loro gente. Sono stati gli stessi autori, collaboratori de «la Lettura», ad adattare il loro fumetto alle necessità editoriali di un Paese dove continua a essere problematico affrontare o anche solo sfiorare temi politicamente sensibili, anche se non più d’attualità (come, ad esempio, la Rivoluzione culturale lanciata da Mao Zedong nel 1966-1976). I due autori, che nei cataloghi delle case editrici cinesi hanno non hanno rintracciato altri fumettisti italiani, hanno attinto a una storia familiare: Wu Lishan era infatti il nonno di Demonte, che sposò una donna italiana , come accadde a praticamente tutti i suoi connazionali a Milano.

Per l’edizione in lingua mandarina Rocchi e Demonte hanno comunque eliminato, su indicazione dell’editore, alcune pagine: «Le tavole censurate riguardano soprattutto i riferimenti storici alla rivoluzione culturale e quelle immagini di Mao non reputate ufficiali dal partito (come il Mao di schiena con Zhou Enlai)». Si tratta comunque di una perdita non essenziale. Le pagine di storia cinese — spiegano gli autori — erano state pensate soprattutto per il pubblico italiano e «non erano fondanti per la vicenda singola del nonno. Illustravano piuttosto il contesto in cui ha vissuto, motivo per cui non abbiamo percepito questa censura come una limitazione». Semplicemente, la cancellazione di alcune pagine ha comportato una nuova foliazione.

Comunicare e mediare con la casa editrice di Pechino è stato tuttavia molto faticoso: «Non tanto per via della lingua, quanto proprio perché abbiamo dovuto adattarci all’impostazione grafica cinese». Il nocciolo però è un altro: «Dal punto di vista sociologico questa storia è inedita anche in Cina. Fino a poco tempo fa i migranti erano considerati alla stregua di traditori; ora invece vengono rivalutati e inseriti all’interno dell’epica nazionale come eroi del lavoro, dal profondo spirito di abnegazione, capaci di sopportare mille difficoltà». Ecco allora il ruolo di Milano, proposto all’attenzione dei lettori cinesi che stanno premiando il volume con vendite che l’hanno portato fra i titoli più venuti del settore: «La nostra città, con la sua piccola Chinatown, resta l’indiscussa protagonista di Primavere e autunni, la cornice di tutta la vicenda. Quella per noi è stata la vera emozione: vedere le note sui nomi delle vie e delle mappe e in calce la traduzione/spiegazione in cinese. O gli interni delle case di ringhiera con i caratteri cinesi sui muri… Oggi forse qualcuno, nel Zhejiang (la regione d’origine del protagonista Wu Lishan e della stragrande maggioranza dei cinesi della zona Sarpi, ndr), trovandosi tra le mani il nostro fumetto, potrebbe riconoscere i luoghi del suo passato e lasciarsi andare ai ricordi proprio. In Primavere e autunni le altre famiglie italo-cinesi si sono riconosciute perché nella sua epopea famigliare, in fondo piccoloborghese, si rintracciavano numerosi elementi comuni: luoghi di provenienza, dialetto parlato, legami famigliari e amicali, ma anche fasi della vita simili, passaggi obbligati nella storia di quei primi migranti».

Qui sta la grande differenza tra la versione italiana e quella cinese: «Noi li chiamiamo migranti, perché hanno lasciato la Cina e si sono stabiliti in Italia. Loro li chiamano cinesi d’oltremare, espressione che richiama più l’idea di colonia e non presuppone l’abbandono della patria o un cambio di nazionalità. In fondo sono sempre cinesi, “buoni cinesi”». E l’avventura non è finita: l’anno scorso Rocchi e Demonte hanno pubblicato, sempre a fumetti e sempre per Becco Giallo, Chinamen, una storia di più ampia portata sull’immigrazione cinese a Milano e in Italia. Anche i diritti di questo libro sono stati acquisiti per Dang Dang. E un museo dello Zhejiang ha manifestato l’interesse ad acquisire l’esposizione che il Museo delle Culture di Milano aveva organizzato l’anno scorso sul tema proprio di Chinamen.

 

© Corriere della Sera RIPRODUZIONE RISERVATA
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